Tanto per farvi inquadrare il contesto storico e sociale, nel 1968, anno della campagna elettorale – poi rivelatasi vincente – di Richard Nixon, debutta sul grande schermo un attore che avrebbe creato un prima e un dopo nella storia del cinema. Si tratta di Robert De Niro, diretto da Brian De Palma in Greetings (Ciao America!), commedia vincente premiata al Festival di Berlino, che ripercorre a sua volta la recente storia americana degli Anni Sessanta. Sta per essere costruita inoltre la rete ARPANET, progenitrice di Internet, alba di un nuovo periodo storico per l’intera umanità.

Nel frattempo, l’Inghilterra ha da poco vinto i suoi primi – e finora unici – mondiali di calcio, ma in tutto il mondo se pensi ‘inglesi’ non è il campo di pallone a venirti in mente, in quel periodo, bensì quattro ragazzi di Liverpool, e non sta a me farvi capire chi siano.
Loro dopo due anni prenderanno direzioni diverse, ma avranno ancora davanti tanta strada; cosa che purtroppo non avrà il già citato Martin Luther King Jr., Premio Nobel per la pace e leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, assassinato a Memphis il 4 aprile di questo stesso, cruciale anno, il 1968.
Nello stesso periodo, Charles Manson è il leader di una setta losangelina composta da giovani criminali invasati, appartenenti all’imperante cultura hippie che si era diffusa per tutti i suddetti anni ’60: la Manson Family. Un anno più tardi, pianificheranno e attueranno uno dei più brutali omicidi nella storia degli Stati Uniti (se volete calarvi perfettamente nel periodo, rivivendone i colori, i costumi e le sensazioni, vi consiglio un film recentissimo, che molti di voi presumo abbiano già visto: Once Upon a Time in Hollywood – 2019 – del maestro Quentin Tarantino).
Nel 1972, la Ventesima Edizione dei Giochi Olimpici, tenutasi a Monaco di Baviera, passerà tragicamente alla storia come quella del massacro di undici atleti israeliani da parte di un commando di terroristi palestinesi di Settembre Nero, gruppo terroristico laico e di stampo socialista.
In tutto ciò, dunque, l’America era in mano a Nixon.

Dapprima senatore degli Stati Uniti per la California, e successivamente Vicepresidente a soli quarant’anni per quasi tutta la decade del ’50 con il periodo Eisenhower (1953 – 1961), Richard Nixon passerà alla storia come uno dei Presidenti più controversi e criticati dell’intero 20° secolo.
Repubblicano, e primo Presidente a essere nato sulle sponde dell’oceano pacifico – precisamente a Yorba Linda, in California, nel gennaio 1913 – era noto nella scuola che frequentava per le sue grandiose abilità oratorie, che lo facevano eccellere nei dibattiti e nei discorsi che teneva in classe.

Anche qui una malattia sconvolgerà la sua vita: non direttamente su di lui questa volta, ma sul fratello Harold; dopo numerosi tentativi di cura, anche trasferendosi in Arizona per sfruttare un clima più secco, Nixon perderà il fratello nel 1933. Prima di ciò, proprio per ovviare ai problemi del fratello e per le condizioni di povertà in cui versava la sua famiglia, dovette rinunciare a una prestigiosissima borsa di studio ad Harvard, con l’intento di badare al negozio di alimentari e benzina che sostentava la propria famiglia.

Cresce quindi in fretta Richard, forse già uomo prima del tempo.
Gli anni tra il 1933 e il 1935 sono presumibilmente quelli della svolta: è vero, perde il fratello in circostanze tragiche, trova la sua prima fidanzata – anche se la relazione si rivelerà poi un fiasco –  ma soprattutto si laurea e gli viene offerta un’ulteriore borsa di studio alla Duke University School of Law.

Da qui è tutto un susseguirsi di opportunità ben colte e di astri che si congiungono: viene scartato dal Federal Bureau of Investigation (FBI) ma fa carriera in ambito legale come avvocato, per poi lavorare anche nella marina degli Stati Uniti durante il conflitto mondiale.
Seppur senza partecipare in prima linea negli scontri, viene promosso a tenente comandante e gode di ottima reputazione anche nell’ambiente militare: ci sono tutti i presupposti per un suo ingresso nel mondo della politica.

In breve tempo scala anche qui le gerarchie, ma viene però sconfitto alle elezioni presidenziali dal già citato JFK (John Fitzgerald Kennedy) nel 1960. Subisce questa sconfitta non senza però passare prima alla storia: il dibattito Kennedy-Nixon – pre elezioni – fu il primo dibattito tra potenziali Presidenti mai trasmesso dalla televisione nazionale, e cambiò per sempre il modo di fare politica.

Dopo la sconfitta anche nelle elezioni per presiedere il governo californiano, nel ’62, subisce un fisiologico momento di sconforto, salvo poi tornare alla carica, questa volta in maniera finalmente trionfale, nel 1968.
In questo caso, l’aggettivo “trionfale” è però da contestualizzare, in quanto la politica degli Stati Uniti era ampiamente scossa ai tempi dai movimenti sessantottisti hippie e dalle numerose e sempre più forti manifestazioni contro la guerra del Vietnam, emblematica macchia della storia americana anni ’50, ’60 e ’70.

Lyndon B. Johnson, successore democratico di Kennedy, non si ricandidò nonostante godesse di una buona popolarità, mentre il potenziale avversario di Nixon alle presidenziali 1968 per il partito democratico venne drammaticamente ucciso in un attentato: credeteci o meno, era ancora un Kennedy, Robert Francis, fratello minore di John Fitzgerald (l’attentato avvenne due giorni dopo un altro attacco potenzialmente mortale a una figura di spicco nel mondo delle arti in quel periodo: si trattava di Andy Warhol, che però riuscì miracolosamente a salvarsi).

Senza di fatto un reale avversario politico fu quindi il grande oratore dalla California a vincere le elezioni presidenziali, instaurandosi ufficialmente alla Casa Bianca il 20 gennaio 1969.
Definito il “Presidente della Luna” per via degli svariati tentativi di allunaggio riusciti durante la sua presidenza, a Washington la sua popolarità e considerazione caleranno inesorabilmente per via della gestione dell’ultima, sanguinolenta fase della guerra del Vietnam. Bombardamenti indiscriminati su Cambogia, Laos e Vietnam del Nord non gli valsero – una volta ritirate le truppe nel 1973 – il condono da parte dell’opinione pubblica non solo americana, ma di tutto il mondo, che lo criticò aspramente in innumerevoli occasioni (anche qui a Milano, pensate, ci furono parecchie manifestazioni di dissenso, spesso cambiando la X del suo nome con una svastica).

Resosi conto che gli Stati Uniti, per la prima volta nella loro storia, non potevano vincere una guerra, Nixon si arrese, mandando giù un boccone più che amaro. In tutto ciò la sua presidenza portò però invece anche un’apertura nei confronti della Repubblica Popolare Cinese – nel tentativo di tagliare quel cordone ombelicale che la legava all’Unione Sovietica – nonché una buona gestione dell’economia e delle finanze del paese.
Ultimo, ma non meno importante, il sostegno offerto al generale Pinochet nel colpo di stato volto a rovesciare il governo socialista di Salvador Allende in Cile; mossa apertamente in contrasto con Cuba e con la stessa Unione Sovietica, in un clima di Guerra Fredda sempre più teso e vibrante.

Dopo essersi facilmente imposto nelle elezioni del ’72 per il secondo mandato, contro un McGovern che al tempo incarnava i più seri principi socialisti – ovvero tutto ciò che non si poteva vedere in America – Nixon fu il primo e finora unico Presidente americano a dimettersi, nell’agosto 1974, a seguito dello scandalo Watergate; in parole povere un piano politico illegale per smantellare e rendere man mano innocui i rivali del partito democratico e i sempre più insistenti movimenti pacifisti accusatori di Nixon e della sua amministrazione.

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