Dopo la parentesi triennale di Gerald Ford (1974 – 1977) – vicepresidente di Nixon e unico Presidente finora in carica a non essere stato eletto dai cittadini – è tempo di un ritorno dei democratici, con la figura carismatica di Jimmy Carter.
Già governatore della Georgia dal 1971 al 1975 e Presidente americano dal gennaio 1977, Carter si contraddistinse per la sua vocazione al pacifismo già dal secondo giorno del suo mandato, graziando tutti coloro che si erano opposti alla leva militare obbligatoria durante il periodo della guerra del Vietnam, nel frattempo conclusasi nell’aprile di due anni prima con la caduta di Saigon, ultima roccaforte statunitense in terra vietnamita.
A proposito, sempre in ambito artistico nel 1978 esce quel capolavoro che è The Deer Hunter (Il Cacciatore) di Michael Cimino, premiato con l’Oscar come miglior film nel 1979 e con protagonista ancora una volta Robert De Niro affiancato da Christopher Walken (Oscar miglior attore non protagonista) e Meryl Streep.
Nel ’77 moriva Elvis Presley a Memphis, mentre un anno prima faceva il suo debutto su un campo di calcio argentino Diego Armando Maradona, in un ipotetico passaggio di consegne seppur tra fenomeni di discipline artistiche diverse (perché sì, Maradona del gioco del Fútbol ne fece un’arte).
Se la Pop Culture di massa, europea e latina, si leccherà i baffi e si lustrerà gli occhi con Diego Maradona per più di un decennio, Andy Warhol la fa ancora da padrone in patria ed oltreoceano con la sua Pop Art, aspettando inconsapevolmente di prendere sotto la sua ala, a breve, un writer newyorkese di Brooklyn, ma di evidenti origini portoricane: Jean-Michel Basquiat, che muoveva i primi passi nella New York dell’epoca firmando i suoi graffiti per le strade con il nome di SAMO (Same Old Shit).
In tutto ciò, un tizio di nome Michael Jackson sta lavorando a un piccolo progetto: l’album “Thriller“, che farà uscire nel 1982 e che creerà uno spartiacque cruciale nella storia non solo della musica, ma anche delle immagini ad essa associate; il videoclip diventerà elemento dominante nel panorama musicale negli anni a venire.
È la fase più cruda degli anni di piombo in Italia – cominciata già anni prima con la bomba di Piazza Fontana a Milano e con l’attentato dell’Italicus del 1974 – e proseguita un anno più tardi con l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, il delitto Moro del ‘78 e la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, che provocò 85 morti e centinaia di feriti.
Non tutte le cose vanno però per il verso sbagliato a livello internazionale, e a fronte di dittature dispotiche del terrore in molti paesi dell’America latina – come ad esempio in Argentina – la Spagna sta vivendo un momento di rinascita a seguito della morte di Francisco Franco nel 1975. È l’età della Transición, e Madrid diventa un centro di effervescenza sociale mai visto prima di allora, in Europa, tanto da coniare il termine – poi usato ampiamente a sproposito negli anni a venire – ‘Movida madrilena’.
La droga in queste lunghe notti nella ‘Madrid que nunca duerme’ è tanta, tantissima. Ma tanta è anche l’arte che ne riempie le brulicanti strade: Pedro Almodovar uscirà da qui, e passerà alla storia così come fece il Presidente del governo spagnolo del tempo, Adolfo Suárez, abilissimo uomo politico in un periodo così complicato per il suo paese, e che starà in carica praticamente lungo tutto il periodo Carter negli Stati Uniti.
Carter – appunto – dal canto suo non sfigurò come prima figura dirigenziale in un paese sì importante, ma in netto calo a livello di consenso internazionale, per via della politica espansionista e aggressiva che aveva mostrato fino ad allora. Il Presidente si occupò comunque di questioni nobili, in ambito interno, costituendo dentro la Casa Bianca due nuovi Dipartimenti: quello dell’Energia e soprattutto quello dell’Istruzione.
È vero senz’altro però che la fine degli anni ’70 per gli States non fu un periodo d’oro, data la sconfitta nella famosa ormai guerra del Vietnam e un calo d’immagine vertiginoso, a cui seguì un’ovvia titubanza economica per qualche anno, condita da una disoccupazione crescente e una lenta ripresa.
Gli Accordi di Camp David per negoziare la pace in Medio Oriente e tra Egitto e Israele sono uno dei suoi capolavori a livello internazionale, anche se poi purtroppo le tensioni all’interno di quell’area geografica non se ne andarono mai. Notevole fu anche il suo apporto per regolare il ruolo statunitense nella delicata area del Canale di Panama, prima a stretto controllo americano e in seguito misto, per poi divenire nel 1999 sotto la completa sovranità di Panama stessa.
Oggigiorno è vero che non vi sono più forze armate USA sul territorio – la cui stretta sorveglianza terrestre, aerea e navale aveva suscitato non poche polemiche in ambito internazionale – ma è lecito comunque pensare che gli Stati Uniti ricoprano ancora un ruolo da eterno supervisore delle situazioni a loro vicine.
Sotto la gestione Carter ricade anche il periodo della crisi degli ostaggi americani in Iran (1979 – 1981). Per farvi un’idea, mi permetto di consigliarvi il film del 2012 Argo, diretto e interpretato da Ben Affleck e anch’esso insignito del prestigioso Premio Oscar come miglior film nel 2013. E ovviamente, mi raccomando, guardatelo in lingua originale.
Ma il momento più critico a livello di tensioni internazionali, e forse di tutta l’intera Guerra Fredda, avviene a seguito dell’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, territorio ricco di petrolio e risorse naturali da sfruttare per entrambe le due potenze (oltre che situato in una posizione strategica). La Guerra Fredda tra USA e URSS raggiunge quindi un picco, e caso vuole che l’anno dopo sia proprio Mosca la città preposta ad ospitare le Olimpiadi estive.
Ancora Olimpiadi, dunque, a sancire la storia dell’uomo nel ventesimo secolo: l’edizione dei Giochi Olimpici di Mosca 1980 passerà alla storia come quella del boicottaggio americano, esempio seguito da ulteriori 65 paesi e da molti altri che parteciparono non sotto la propria bandiera ma sotto la bandiera olimpica (tra questi Italia, Gran Bretagna, Francia e molti altri paesi dell’Europa dell’ovest, storicamente strettamente connessi alle politiche statunitensi).
Questo enorme boicottaggio ha creato di fatto un torneo-fantoccio, i cui risultati sono da registrarsi più come valore storico, che sportivo. Per Carter, dopo aver sconfitto Ted Kennedy nelle primarie per il partito democratico (sì, ancora un Kennedy di quella famiglia lì, fratello minore di John Fitzgerald e Robert), il boicottaggio servì, oltre che da messaggio politico internazionale, anche per far salire nuovamente la sua popolarità tra gli elettori che avrebbero votato di lì a poco.
Questa mossa politica forte e impattante non servì però al Presidente Carter, che nel 1981 venne sconfitto alle presidenziali dal repubblicano Ronald Reagan, di stampo conservatore, che avrebbe poi impresso il suo nome in tutta la decade degli Anni Ottanta – e precisamente fino al 1989 – facendo ripartire alla grande l’economia statunitense, riaffermando il ruolo americano di unica superpotenza nel mondo e vedendo crollare di fatto l’Unione Sovietica, per poi essere sostituito da George H. W. Bush padre.
In tutto ciò l’impegno politico di Carter non si è mai arrestato, dal momento in cui anche dopo la fine del suo mandato si è occupato in prima persona di promuovere, difendere e – là dove possibile – espandere i diritti umani, prendendo parte attiva viaggiando nei paesi in via di sviluppo con lo scopo di condurre negoziati di pace e creare associazioni che promuovessero un maggiore benessere dei cittadini nelle zone più difficili del pianeta.
Nel 2002, Jimmy Carter è stato insignito del Premio Nobel per la pace.
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